Paolo: Venezia è una città sprofondata nel buio. Non c’è luna e l’illuminazione delle strade sembra non funzionare. Per raggiungere la sua bottega ho dovuto farmi luce tutto il tempo col telefono. Almeno non c’è la marea
Mastro Zorzi: A Venezia la luce serve solo per creare; e la notte si fa altro, al massimo si dorme, ma non si crea
Paolo: Sí, ma lei ora tiene comunque accesi i fari della bottega per continuare a lavorare alla sua gondola
Mastro Zorzi: Qua non creo nulla, compio un rito. Adesso siediti con me
Paolo: Le ho portato un vino meridionale. L’ho comprato l’ultima volta che sono tornato a Napoli
Mastro Zorzi: Ti ringrazio, lo berremo insieme fino all’alba
Paolo: Sa, mastro, negli ultimi mesi ho molto pensato al giorno del ciliegio
Mastro Zorzi: Aspetta che versi. Dimmi quando fermarmi
Paolo: Va bene cosí
Mastro Zorzi: Sei giovane, dovresti berne di piú
Paolo: Il vino mi dà spesso qualche fastidio
Mastro Zorzi: E quindi di tanto in tanto ripensi al giorno in cui sradicammo quel ciliegio e la piana si allagò?
Paolo: O la allagammo?
Mastro Zorzi: Dici che siamo stati poco accorti?
Paolo: Sí, avremmo dovuto forse prendere maggiori precauzioni. Tuttavia, vedere la radura scomparire sott’acqua mi ha spronato a tornare su quei pensieri di collasso del mondano, sul suo inabissamento. Riflettevo sul nostro agire, sul nostro stare nello spazio del reale
Mastro Zorzi: Il nostro agire in un mondo che finisce?
Paolo: Il nostro creare nel mondo che finisce
Mastro Zorzi: L’arte nel mondo che finisce
Paolo: È una buona etichetta. Io ho l’impressione che il crollo del mondo storico sia legato in modo imprescindibile alla possibilità di esteriorizzazione della propria condizione interna. Il crollo avviene quando non si ha piú modo di esistere in uno spazio intersoggettivo. Se pensiamo il mondo per idee e lo valutiamo impiegando dei valori, è allora imprescindibile, affinché la realtà e il divenire storico si perpetuino in una qualsiasi forma o direzione, costruire uno spazio ideale e valoriale di interazione e condivisione delle individualità
Mastro Zorzi: La cultura umana è questo contesto
Paolo: E il contesto si crea, tuttavia, solo se si condividono forme e linguaggi adatti alla sensibilità di ogni individuo interagente, cioè delle strutture capaci di delineare una realtà in cui ciascuno può riconoscere possibile un proprio contributo. Se un soggetto non ha questi strumenti o non può accettare quelli impiegati perché non aderenti al proprio sentire, si affaccia al mutismo culturale ed è allora che si avverte il collasso del mondo
Mastro Zorzi: Talvolta ciò avviene a livello macroscopico per dei gruppi interi. Nel nostro mondo, esiste una perimetrazione per bolle che non condividono le medesime prospettive e i medesimi linguaggi
Paolo: Si tratta di una struttura sfocata e mutevole che impedisce il necessario processo dialettico, che disinnesca il motore capace di formare lo spazio culturale necessario all’arginamento del caotico. È questa condizione che rende difficile pensare di continuare a coesistere in una società come quella della comunità nazionale o internazionale. Si genera l’impressione che il proprio sentire non incontri, anche negli spazi piú familiari del vissuto quotidiano, quello degli altri esseri umani e che quindi sia impossibile costruire una comunità realmente fondata su sentimenti e forme dell’agire condivisi. Qua viene meno il principio di cultura e sorge l’abisso
Mastro Zorzi: Uno sprofondare vuoto e strappato dal divino
Paolo: Noi, in quanto esseri umani, siamo inesorabilmente creature terricole e viviamo appaesati là dove i nostri piedi sfiorano la terra. Tuttavia, rimaniamo al contempo esseri ascensionali, poiché il nostro esistere si lega al respiro. I nostri corpi, affamati d’aria, si contraggono e si elevano verso il cielo nel tentativo talvolta affannoso di riempire il petto di vita. Il respiro garantisce il divenire, esso è l’elemento che convoglia le componenti simboliche dello svolgersi della storia. Il cielo è lo spazio in cui cerchiamo la materia del respiro e nella distesa celeste ci pare di poter intravedere il luogo della nostra proiezione, il punto nel quale l’esistenza si svolge e verso cui le vicende umane protendono. In questo apparato simbolico si intuisce come vi sia un imprescindibile legame tra l’umano e il futuro. Se quest’ultimo scompare dalle nostre opzioni, il mondo storico collassa. Qua sta l’inabissamento della terra, il nostro annegamento, l’interruzione del respiro
Mastro Zorzi: Seguo il tuo ragionamento e comprendo la simbologia di cui parli. Eppure, non credo che le vicende degli uomini non possano vivere nuove fasi. Il senso di fine di un mondo storico ha già attraversato altre epoche e sempre sono stati creati dei dispositivi di cultura per la rigenerazione dell’esistenza mondana. Pensa, mio caro Paolo, al concetto di eterno ritorno. Esso alberga in una dinamica processuale molto chiara. Il tempo assume una forma curva, non lineare, e si getta inesorabilmente verso uno snodo centrale che è anche centro e passaggio riattivante. Questo punto della storia ciclica è il mito delle origini, il quale diviene poi giustificazione per il riproporsi dell’identico. Si tratta di un dispositivo simbolico imprescindibile per superare il terrore dell’inversione temporale, del possibile regredire dell’orizzonte mondano in un processo che potrebbe fatalmente significare la fine dell’esistente. Di certo questo schema del pensiero non è da relegarsi al mondo antico, ma lo si può facilmente intravedere anche nel sacrificio di Cristo sulla croce. Il gesto estremo che rigenera l’essere umano e riattiva la storia. Non si tratta piú di piogge interminabili e di divinità agricole rapite, la realtà terrena viene proiettata nell’ascesi assieme all’umanità tutta. È cosí che una nuova epoca nasce rielaborando un dispositivo simbolico. Ad oggi, sembra che l’accesso e la costruzione di queste strutture culturali, queste forme del pensiero, siano del tutto precluse all’umanità
Paolo: Credo che ciò avvenga per la mancanza del contesto dialettico di cui parlavamo
Mastro Zorzi: L’assenza di un apparato simbolico forte e condiviso – perché i simboli nella nostra epoca ovviamente esistono, ma destano sospetto e faticano a contribuire alla formazione della cultura – costituisce il problema piú rilevante nella formulazione di nuove prospettive di pensiero
Paolo: Finora abbiamo parlato del mondo storico e non di quello fisico, oltre ad aver abbandonato il tema dell’agire, in particolare quello artistico, di fronte al collasso del reale
Mastro Zorzi: Mi avevi già detto in cosa si sostanzia questa tua idea di deriva del mondano. Ricordo che parlasti dei cambiamenti del clima e della scomparsa di alcune forme del naturale, come i ghiacciai e le sorgenti
Paolo: Esatto, ma questo si lega con il nostro ragionare e realizzare opere d’arte. Quest’ultime sono infatti prodotti di cultura e si collocano in un’intercapedine tra il sé e il sensibile. L’opera d’arte, come il simbolo, vive una condizione mediana, di collegamento e osmosi. Essa proietta l’io verso l’incontro con l’Außenwelt, verso il mondo nella sua formulazione esteriore, quindi all’infuori della manipolazione intellettuale dell’umano e nella sua sostanza materiale. In questo senso, il comportamento delle arti, il loro oscillare tra l’intelletto e il sensibile, riflette il destino dell’intera cultura umana. L’arte si incarica di fornire all’intelletto un ruolo sociale. L’opera può acquisire quindi una sua compiutezza e una centralità nell’esistenza umana quando svolge il ruolo di medium tra il pensiero e il reale. Non è unicamente uno strumento per comunicare il sé agli altri, ma per traghettare il pensiero alla vita. Tuttavia, la sua esistenza, quella del manufatto artistico, è possibile fino in fondo solo se esso mantiene il proprio carattere connettivo anche nello spostamento della sostanza sensibile verso l’interiorità. L’arte attinge direttamente dalle forme del mondo, ma se con quest’ultimo non è piú possibile operare in alcuna maniera, poiché oltremodo mutevole o svanito, essa appare svilita nella sua funzione di medium vitale e nel suo operare come strumento di cultura
Mastro Zorzi: E se si amplia il tuo ragionamento sull’arte ai vari sistemi simbolici, tutto ciò comporterà anche il crollo totale dell’intelletto
Paolo: Credo comunque necessario che il nostro riflettere e il pensiero sull’arte siano consapevoli di questa percezione del crollo e dell’abisso. I meccanismi artistici solo cosí, nel dialogo tra intelletto e mondo sensibile, potranno ragionare fino in fondo sulla propria essenza
Mastro Zorzi: Mi immagino l’artista come una creatura che si occupa di curare il pensiero e la vita, intenta a ricucire lo strappo violento che li ha divisi
Paolo: Consapevole, tuttavia, che il suo unico intervento non basterà e che dovrà partecipare, per quanto sia difficile, alla costruzione di un’intera comunità e di un futuro finalmente…