NICO DELLA S

di Gabriele Di Donfrancesco

Mi fermo all’autogrill della S* tornando da Milano perché me l’ha chiesto il mio ragazzo, non per altro, sono stanco, però mi dico che è giusto farlo, l’idea riesce comunque a gonfiarmi il cazzo mentre guido, perciò parcheggio e i led della S* si fissano nella retina. È notte, apro il bomber, sbottono la camicia; l’altro giorno mi si è strappato il jeans inginocchiandomi e adesso trasborda un po’ di coscia; avrei voglia di farmi sbocchinare dal mio ragazzo, l’ultima volta che siamo passati l’ho fatto bere mettendolo all’orinatoio, poi però è arrivata troppa gente e si è sentito a disagio. Ce ne stavamo andando quando abbiamo incrociato il tipo, un boro col cappuccio, ma ormai eravamo usciti, e al mio ragazzo è rimasto l’amaro in bocca: se ci torni e lo becchi me lo dici?

Stavolta resto sulla soglia, la luce verde mi bagna il fianco, ignoro un papi forte che mi squadra, finisco per pensare al lavoro: mi annoio. Alle quattro e mezza sto per andarmene, con la schiena e lo stivale contro il muro sembro un agente provocatore, poi però lo vedo scendere da un camioncino dell’E*, servizio pronto intervento tecnico, pantaloni cargo e giacchetta catarifrangente, il cappuccio della felpa dell’altra volta appoggiato sui capelli rasati, la barbetta, e allora mi dico, cazzo se è bello.

Mi faccio sbattere contro le piastrelle, il tipo non molla un attimo lo sguardo.


Il mio ragazzo per poco non urla quando apre la porta e si ritrova Nico, 21 anni, chissà che cazzo mi è preso di portarlo a casa, e ci presentiamo di nuovo, io Lucio, 30, e Bernardo, 28 — ma non si fa, non si porta il tipo del cruising a casa, non lo si porta in città tra le cose del giorno, è una resa, umiliarsi nudi a comando, basta che apri la bocca, che apra la bocca, e sai già troppo, la scopata c’è solo se stai zitto. La deve sentire pure lui la puzza di borghesia di Bernardo, mi chiedo se gli darà fastidio. Invece ci stringiamo le mani, sulle nocche si tira il tatuaggio di Nico, l’inchiostro gli sale fino alla spalla, sbuca un po’ dal collo, e poi quel fisico non è possibile che ce l’abbia a 21 anni, quando è iniziata la sua vita, mi chiedo mentre prende il caffè in cucina e ci guarda, scandaglia la casa, che ho fatto, Bernardo cerca da me una risposta che non so dargli: ci pensa Nico al mio posto, quando la notte se lo scopa con gusto ma senza sentimento, guarda solo me mentre gli schiaccia la faccia contro il materasso.

Nico resta e ce lo troviamo il giorno dopo e quello dopo ancora. Dorme al centro del letto. A volte vorrei abbracciare Bernardo nel sonno, toccargli il buco del culo dopo il passaggio di Nico, invece il ventunenne è lì in mezzo. Quando mi abbraccia è così forte che non riesco a districarmi, Bernardo nemmeno si accorge di esser rimasto solo. Al mattino, siamo in due ad accarezzare le cosce di Nico, la cicatrice sul collo. Dove te la sei fatta? Non te lo dice, o se te lo dice non si capisce se scherza. Continuo a non credere che abbia l’età che dice di avere. Nessuno gli ha mai chiesto i documenti.

Del suo passato racconta molte cose e in fondo niente. Sulle prime non capisci se siano vere. Le dà via così, le informazioni, ma sono sempre rivelazioni violente. Se ti vede perplesso, o spaventato, perché certe reazioni uno non riesce a impedire che gli guizzino in faccia, si affretta a dire che il suo ruolo con noi non sarà mai quello. Usa questa parola, “ruolo”. Il che fa sorridere, perché è piccolo, ma in quei momenti te lo dimentichi, e allora è davvero più grande, Nico, e più virile, più sveglio; ti dice che ha un “ruolo”, sebbene sia io ad averlo trovato e portato a casa con me. Di fronte a lui, la nostra vita di coppia pare solo un riflesso smorto di quel che si potrebbe fare e che Nico, per qualche ragione a noi sconosciuta, ha fatto: il livello bonus di un videogioco, l’accesso nascosto tra le pieghe della mappa.

Con Bernardo non so fino a che punto spingermi per parlarne. Lavora da casa, Nico ancora dorme quando lui prepara la colazione. Io con un cenno saluto ed esco per andare in ufficio. Verso mezzogiorno Nico riparte col camion. Non si capisce che orari abbia. Non segue i nostri, siamo noi che ci adattiamo ai suoi.

Poi la notte ci scopa e ci porta in giro, non sappiamo dirgli di no, non so dirglielo nemmeno io; lavoro con gli occhi tumefatti dal sonno e la testa ancora nel locale, dove c’è fumo, fa caldo e Nico si lega la felpa in vita e ci trascina in pista; i suoi baci sono frizzanti, è un sapore che non conosco, si è calato una sostanza che non rientra nel mio dizionario. La mattina toppo una consegna, poi un’altra e ancora un’altra, a fine mese il capo mi dice che se non mi do una regolata me ne vado a casa, ma a casa c’è Nico che mi stringe e mi blocca lo sguardo dopo aver messo Bernardo in un angolo, che mi fa nascondere il mefedrone nelle scarpe quando passa la polizia, che mi bacia se passo in fretta la merce dal furgone. È un addestramento: attendo un comando per imboccare il bivio sbagliato e non tornare più. L’idea mi spaventa tantissimo.

Così quando ad aprile Bernardo non ce la fa, decido di non intervenire. Mi dice, non ricordo l’ultima volta che sono stato da solo con te. Sono mesi che Nico se lo scopa duro tappandogli la bocca. Sono mesi che non me lo lascia toccare. Io ascolto Bernardo e penso solo alle estreme conseguenze. Il mattino seguente, Nico scrolla le spalle, sembra deluso, mi guarda e vede che resto muto — anche per questo non si portano gli sconosciuti in casa — e mi dà un colpetto sulla guancia, riempie il suo borsone, lo seguo dalla finestra mentre si allontana.


Trovo un nuovo lavoro e festeggiamo con gli amici di sempre, ma dove eravate spariti tutto questo tempo, un aperitivo e per le nove siamo a casa. Ci accarezziamo sul divano, ci abbracciamo a letto. Per un po’ non andiamo a fare cruising, per un po’ non facciamo tardi la notte; continuo a sentire tra le coperte il calore di qualcuno che non c’è.

Un giorno, per farmi una sorpresa, Bernardo mi porta su una terrazza e mi regala un bracciale, io per tornare alle vecchie abitudini lo spingo nel bagno del ristorante, chiudo dietro la porta e lo faccio inginocchiare, quando bussano lui imbarazzato si tira su e mi chiede di andare; in macchina è contento, si stringe al mio braccio.

A casa però non riesco a dormire, mi chiedo se non si possa tornare indietro. Vorrei sentire Nico dentro di me un’ultima volta, allora prendo Bernardo come faceva lui, con la testa schiacciata contro il cuscino, senza degnarlo di uno sguardo, e anzi chiudo gli occhi e spingo per capire; all’alba lo sento singhiozzare, il mattino dopo non parla, la sera non lo trovo più a casa. Mi ha lasciato un biglietto, non ho la forza di leggerlo. Monto direttamente in macchina, sulle prime vorrei cercare Nico ma poi ci rinuncio e guido e basta.


Non tutti gli autogrill sono dei cruising, ne sorpasso un paio dove non si scopa — ma forse si scopa in tutti, la differenza è solo quanto. Quando mi fermo sono ancora vicino Roma, ma fuori città la notte è più fredda. Prendo una felpa dai sedili posteriori, mi tiro il cappuccio in testa. Sotto i neon del bagno incrocio una coppia che esce, si tengono per mano, il più giovane mi punta gli occhi addosso, io distolgo lo sguardo: non ti conviene, penso, e piscio in un angolo. Il mio riflesso sul tubo di scarico mi dice che dopotutto sto sorridendo.


prima - dopo