Mastro Zorzi: Bene, si tratta d’un lavoro molto preciso, direi impeccabile. Vedo che le corde sono già state legate intorno a tutta la pianta. A questo punto, mi posso occupare io stesso dell’operazione di tiro per sradicarla

Operaio: Proceda pure quando crede

Paolo: Io seguo lei per le operazioni di accompagnamento alla fase conclusiva

Operaio: Certo, sarà utile disporsi insieme agli altri alla base del tronco per agevolare il tiraggio

Mastro Zorzi: Ei voi, laggiú! State ben attenti ché a breve si comincia!

Paolo: È partito

Operaio: Dottore, se vuole, può indossare queste cuffie insonorizzanti

Paolo: La ringrazio

Operaio: ...

Paolo: Non sento nulla, assolutamente piú nulla. Pazzesco. Posso URLAAAAARE. Nessuno si muove, nessuno reagisce. Qua, alla base del tronco non c’è davvero una mansione da compiere, mi trovo piuttosto in una tribuna esclusiva da cui poter assistere a questa curiosa esecuzione. Credo che in genere non si sradichi in questo modo un ciliegio. Non so cosa stia progettando Mastro Zorzi. Posso osservare solo che l’operazione è ben pensata: il ciliegio è stato legato in maniera impeccabile e le radici dell’albero, cosí profondamente innervate nel cuore di questo terriccio nerastro, sono state poste quasi totalmente a vista. Si tengono salde e veementi anche ora che il tiraggio è partito. Mi vengono in mente metafore politiche e sorrido malinconico in questo invadente silenzio totale. Le radici prendono a venarsi di minuscole fratture. Scricchiolano. Non lo so se lo stiano effettivamente facendo, ma la multimodalità implicita del mio osservare produce suoni che non odo e mi lascio trascinare invaghito da questa sinestesia che non esiste. O forse esiste. Quest’essere reale di fronte a me sta svanendo ed esso trascina con sé la certezza della mia percezione. Mi sento improvvisamente in una denkraum, nel massimo allontanamento dal mondo, nel pieno intelletto. Questa non è vita, qua c’è l’abisso. Le radici non si spezzano e il ciliegio sta scivolando via dalla terra senza lasciare lacerti legnosi sulla terra umida, nessun resto mortale. Oramai è fuori. Non mi resta che aiutare gli operai nel trasporto del ciliegio sul mezzo. Mi ritrovo a caricarmi sulle spalle proprio una parte delle radici spesse, cavernose e raggrinzite. L’esperienza aptica mi travolge e ho di nuovo contezza di me. Il ciliegio ora è caricato nel container, posizionato saldamente sulla parte posteriore del camion. I suoi petali, smossi dall’operosa tecnica e da una certa brezza vespertina, si confondono al tramonto coprendomi e volteggiando tra gli operai che raccolgono gli ultimi strumenti dalla fossa ormai vuota

Operaio: ...

Paolo: Sta urlando mentre indica la fossa. Gli altri si voltano e si avvicinano al punto mostrato dal compagno. Le bocche e gli occhi sono spalancati per liberare sorpresa e terrore. Si dimenano e razzolano a terra. Intanto un rigagnolo d’acqua sta emergendo dal cuore della voragine, e nel suo muoversi rapido e turbolento inumidisce la terra ancora asciutta. Questa si fa subito molle e pesante. Crolla! La radura è invasa da una coscienza acquatica semovente, appare frantumata da striscianti serpi idriche che si autoalimentano emergendo dal sottosuolo. Sto affondando nel fango. Cado. Mi devo rialzare. Sono sporco e bagnato, mi manca l’aria. Sto annegando? No! Devo levare queste cuffie!

Operaio: ...rbine, è l’abisso che risorge!

Paolo: Mastro Zorzi! Sta sgorgando acqua dalla fossa. È l’abisso, è l’abisso che risorge!


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